“Le nuove tecnologie, e in particolare l’intelligenza artificiale, stanno producendo sul mondo del lavoro conseguenze simili a quelle che ha avuto il Covid, tre anni fa. È una sorta di “pandemia delle competenze”, un acceleratore dei processi di cambiamento che non vanno necessariamente nella direzione che ci aspettavamo fino a qualche anno fa. Quando è scoppiata la pandemia, il lockdown ci ha costretti a ripensare forme e modalità di molti lavori. Ora l’impatto dei nuovi modelli di AI si annuncia come vera e propria rivoluzione che coinvolgerà il modo in cui concepiamo il ‘mattone fondamentale’ dello sviluppo dei lavoratori: le competenze.
Roberto Vardisio è uno psicologo del lavoro impegnato a comprendere il modo in cui le nuove tecnologie stanno cambiando il modo di vivere e di lavorare delle persone. Con la società che dirige, Entropy Knowledge Network, da anni sviluppa progetti che aiutano le aziende a sviluppare competenze e cultura aziendale in linea con i cambiamenti legati alla trasformazione digitale. Con lui abbiamo deciso di approfondire il tema che riguarda l’avvento di tecnologie di ultimissima generazione. Come Chat GPT, il chatbot di OpenAI che punta a rendere sempre più naturale e intuitiva l’interazione fra le persone e quei sistemi che chiamiamo ‘intelligenza artificiale’.
In quattro punti, i temi caldi del mondo del lavoro, oggi e nel futuro.
- METACOMPETENZE E MINDSET
“Più che di competenze, una costante nel dibattito sul lavoro, mi piace parlare di metacompetenze: continuiamo a ragionare per competenze, ma dovremmo invece orientarci sulle metacompetenze, che sono i nostri valori, gli atteggiamenti, il modo di vedere il mondo.
La ragione principale è che le competenze, legate al fare, invecchiano sempre più rapidamente, vanno mantenute e aggiornate, mentre il nostro mindset è più stabile: è una bussola che ci orienta, e che comprende anche le qualità umane fondamentali in ogni professione.
In questo senso potrebbe essere utile usare il concetto di mindset. Il mindset ci dà una diversa prospettiva su ciò che è strategico. Nella formazione di oggi, spesso, le convinzioni di base di una persona, gli schemi che utilizza per elaborare le informazioni, gli ‘occhiali’ che indossa sono più importanti delle competenze. La complessità, ad esempio, è un tema di mindset: chi vede le cose in modo complesso oggi ha un vantaggio, perché i nessi causa effetto che funzionavano qualche anno fa, oggi funzionano sempre meno.
Quando parliamo di mindset, inoltre, parliamo di scelta, di volontà e flessibilità personale che ti fanno sposare una certa visione delle cose: questa non è una differenza da poco perché il mindset è frutto soprattutto della capacità di elaborare in un certo modo le proprie esperienze. Per lavorare sul proprio mindset non basta semplicemente imparare qualcosa di nuovo, è necessario un confronto con se stessi, spesso un ripensamento di atteggiamenti e valori. In questo senso penso che nella formazione debbano essere sempre più coinvolte quelle che chiamiamo ‘qualità umane’ delle persone.
In termini quello che potremmo definire ‘mindset dominante’ del mondo del lavoro un discorso a parte meriterebbe il concetto di esperienza. È ovvio che non rinunceremo mai a basarci sulla nostra esperienza per prendere decisioni e orientarci al futuro, tuttavia, a causa della volatilità dei sistemi in cui viviamo e della loro imprevedibilità crescente, essa sarà sempre meno utile per capire che scelte fare, per prevedere cosa accadrà.
Questo è fondamentale soprattutto per chi vuole innovare, come le imprese e le startup, chiamate ad adeguarsi a un mondo che cambia. Tenteremo sempre di fare previsioni ma dovremo basarle sulla immaginazione e sull’idea di superamento di un paradigma, e non semplicemente sull’esperienza, ed è qui che diventa importante capire che tipo di mindset vogliamo avere rispetto al mondo”.
- CHAT GPT
“L’incremento della complessità, anche a livello tecnologico, è tra i fattori che dovrebbero averci convinti che il mondo può cambiare in maniera del tutto imprevedibile.
Fino a pochi anni fa pensavamo che alcune facoltà superiori fossero esclusivo appannaggio dell’uomo, mentre oggi abbiamo la dimostrazione tangibile che anche le macchine sono in grado di simulare processi di ragionamento superiore.
Chat GPT ne è un esempio, la prova che qualunque attività che sia di semplice elaborazione di informazioni sarà presto sostituita dalle macchine.
Quella che si annuncia è una vera e propria rivoluzione a livello cognitivo: molti lavori che davamo per scontato che ci sarebbero stati da qui a dieci anni non ci saranno più. Quello che non avevamo visualizzato è che a rischio sono lavori che abbiamo sempre considerato ad alto valore aggiunto da un punto di vista cognitivo, quelli in cui l’aspetto dell’elaborazione delle informazioni è fondamentale. Per certi versi potrebbe essere più a rischio il lavoro di un medico piuttosto che di un infermiere, di un ingegnere piuttosto che di un muratore. Sono proprio i lavori che hanno un quoziente di competenze considerato tradizionalmente come più elevato quelli che dovranno essere ripensati alla luce di queste nuove tecnologie.
Tuttavia, non condivido la visione catastrofista che anima molti osservatori: non verremo soppiantati dall’intelligenza artificiale, la paura atavica dell’uomo per cui la creatura distrugge il creatore esiste solo nella finzione. Non dico che un rischio di questo tipo non ci sia ma il pericolo vero non è l’AI che di per se può portarci enormi benefici, ma la nostra avidità e la capacità di gestione ‘ecologica’ di questi strumenti”.
- CRESCITA PROFESSIONALE
“L’impatto di queste tecnologie alza notevolmente l’asticella della creatività e della qualità nell’elaborazione della conoscenza.
Questi sistemi, infatti, sono in grado di lavorare con una efficacia ormai sorprendente in maniera compilativa. Ossia, sulla base di tutto quello che hanno imparato (ovvero che è già stato detto da qualcuno) sono in grado di fare sintesi molto efficaci. Proprio perché si basano su cose ‘già dette’ non sono in grado di elaborare contenuti realmente originali. Sono in grado di scrivere una poesia nello stile di Leopardi, ad esempio, ma non di immaginare un nuovo modo di fare poesia. Potremmo paragonare la loro efficacia a quelle di un professionista junior, che dovendosi formare rispetto ad un certo dominio di competenze, lavora in maniera compilativa. Un professionista senior invece, essendo padrone di un certo ambito, dovrebbe essere in grado di andare oltre il già detto, magari di mettere in discussione gli stessi presupposti della sua disciplina, insomma di dire qualcosa di nuovo.
Qui però potrebbe nascere un problema. Se il suo lavoro lo fa la macchina, un neoassunto non avrà mai la possibilità di acquisire le competenze necessarie a crescere: c’è quindi un problema da risolvere nello sviluppo delle competenze e nel pericolo di inceppare alcuni meccanismi nel mondo del lavoro e dell’apprendimento.
Fare esperienza, inoltre, ci permette di comprendere quali sono i nostri punti di unicità e le caratteristiche che ci distinguono dagli altri, e questo è un altro punto importante nello sviluppo delle persone. Sorgono domande che dovrebbero allertarci: per quanto tempo le aziende sceglieranno di pagare un giovane per fare esperienza?
- SCUOLA E FORMAZIONE
“Un ruolo chiave, in questa riorganizzazione del mondo del lavoro, lo gioca ovviamente la scuola a tutti i livelli, che purtroppo al momento- insieme con altri sistemi sociali come, ad esempio, quello legislativo- è completamente impreparata ad affrontare le nuove tecnologie e le loro conseguenze. Questi sistemi vivono in rigida continuità con approcci del passato che sembrano sempre più inadeguati rispetto alla complessità del mondo in cui viviamo. Per tonare al discorso dell’esperienza un’impronta in cui la capacità di orientarsi rispetto al futuro viene esclusivamente dal loro passato. Senza un ripensamento di questi sistemi pensare a come gestire l’impatto delle nuove tecnologie sul lavoro rischia di essere qualcosa di riduttivo e semplicistico.
In ogni caso, Il tema dello sviluppo personale para-professionale sarà sempre più una esigenza che attiene al singolo, e ricercare esperienze e contesti per maturare una certa consapevolezza sarà una vera e propria competenza strategica. Penso che la scuola è la formazione in generale dovrebbero oggi aiutare a sviluppare questo tipo di consapevolezza nelle persone.
Lo sviluppo personale/professionale non può essere del tutto delegato al di fuori di sé stessi e questa è una novità culturale, un cambio forte di paradigma che dall’illuminismo in poi caratterizza la società occidentale che ha individuato precisi attori a cui è demandata la responsabilità dell’educazione. C’è ancora molto da fare e da creare una cultura di questo tipo: viviamo in un mondo in cui la formazione personale è ancora vista come un costo e non come un investimento, ma considerando la fluidità e la volatilità che caratterizzano- e caratterizzeranno in misura sempre maggiore- il mondo del lavoro, forse si riesce a coglierne l’importanza”.
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